Berberina e colesterolo

La Berberina ( C20H19NO5) è un alcaloide isochinolinico quaternario presente in diverse piante della famiglia delle Berberidaceae, come Berberis vulgaris, Berberis aquifolium e Berberis aristata, e in altre specie vegetali , quali Coptis chinensis, Hydrastis canadensis e Phellodendron amurense. A seconda della specie e/o varietà, la berberina risulta prevalentemente localizzata nelle radici, nei rizomi, nella corteccia o nei piccioli. Il suo contenuto è spesso elevato: per esempio, i rizomi di Coptis chinensis ne contengono mediamente il 6% in peso e la corteccia di Phellodendron amurense all’incirca il 4%. Per l’intensa colorazione gialla, comune a tutti i componenti della famiglia delle protoberberine, la berberina è utilizzata come colorante, con la denominazione di “Giallo naturale 18”.

L’impiego curativo della berberina, soprattutto come rimedio contro le infezioni e i disturbi gastrointestinali, vanta una lunga tradizione nella medicina ayurvedica e cinese. Numerosi studi scientifici ne hanno evidenziato le proprietà antimicrobiche nei confronti di diverse specie di batteri, funghi e protozoi ( ad es. Vibrio colera, Staphylococcus aureus, Candida albicans, Candida glabrata, Giardia lamblia, Trichomonas vaginalis).  La berberina risulta particolarmente efficace nel trattamento di forme aggressive di diarrea batterica e di infezioni parassitarie intestinali. Oltre ad esplicare un’azione antibatterica diretta, si è visto che la berberina è in grado di neutralizzare gli effetti delle enterotossine prodotte da Escherichia coli e Vibrio cholerae  e di inibire l’adesione dei microrganismi agli eritrociti e alle cellule epiteliali.

Sul finire degli anni ’80,proprio nel corso del trattamento di pazienti diabetici affetti da diarrea batterica, alcuni medici cinesi scoprirono che la somministrazione di berberina aveva un effetto ipoglicemizzante. Ancora più recentemente si è visto che la berberina è dotata di proprietà ipocolesterolemizzanti e che i meccanismi d’azione coinvolti sono diversi da quelli delle statine, i farmaci di maggiore utilizzo ed efficacia per la riduzione del colesterolo LDL.

Con il termine generico di “ipercolesterolemia” si fa riferimento ad un aumento dei livelli di colesterolo nel sangue e, più precisamente, della frazione trasportata dalle proteine a bassa densità (LDL, Low Density Lipoproteins). Queste proteine veicolano il colesterolo dal fegato ai tessuti dove esso viene utilizzato. Poiché le LDL presentano una forte affinità per le cellule dell’endotelio delle arterie, il colesterolo da esse trasportato (il cosidetto “colesterolo cattivo”) si accumula sulla parete dei vasi favorendo la formazione delle placche aterosclerotiche e predisponendo all’insorgenza di patologie anche gravi, quali infarto cardiaco e ictus cerebrale. Al contrario, le proteine ad alta densità (HDL) sono responsabili del trasporto inverso del colesterolo, dai tessuti al fegato, dove il colesterolo in eccesso viene eliminato sotto forma di Sali biliari o come colesterolo libero. Le HDL svolgono pertanto una funzione protettiva dell’organismo.

Attualmente le statine (atorvastatina, fluvastatina, lovastatina,prava statina, rosuvastatina e simvastatina) sono i farmaci più utilizzati per ridurre i livelli di colesterolo LDL. La loro azione è dose-dipendente e consiste primariamente nel ridurre la sintesi di colesterolo endogeno attraverso l’inibizione competitiva dell’enzima HMG-CoA reduttasi. La diminuzione del contenuto intracellulare di colesterolo provoca, a sua volta, l’aumento dei recettori cellulari per le LDL e quindi una maggiore captazione del colesterolo circolante.  In tal modo si realizza una riduzione della colesterolomia totale e LDL.

Sebbene il trattamento con statine sia in generale ben tollerato, sono possibili effetti collaterali come epatotossicità, disturbi muscolari e, nei casi più gravi, lesioni tessutali. Inoltre, per un numero non irrilevante di pazienti la ionoterapia con statine non permette il raggiungimento degli obiettivi suggeriti dalle linee guida. 

I risultati di uno studio pubblicato di Nature nel 2004 hanno messo in luce le potenzialità della berberina come farmaco ipocolesterolemizzante (Kong et al.) Il trattamento trimestrale con 1000 mg/die ha osservato una riduzione del 29% del colesterolo totale, del 25% del colesterolo LDL e del 35% dei trigliceridi.

In un altro studio , del 2008, i pazienti ipercolesterolemici, non sottoposti precedentemente a trattamento farmacologico sono stati suddivisi in tre gruppi. Ad essi venivano somministrati 1 g/die di berberina, 20 mg/die di simvastatina o entrambe. Dopo due mesi il trattamento con 1 g/die di berberina o 20 mg/die di simvastatina conduceva, rispettivamente, a riduzioni del colesterolo LDL del 23,8% e del 14,3%. La sinergia associata alla cosomministrazione dei due farmaci era evidente, dando luogo ad una diminuzione del colesterolo LDL del 31,8%. L’andamento del colesterolo totale seguiva un andamento analogo a quello LDL. Infine, mentre la berberina, la simvastatina e la loro associazione provocavano una notevole riduzione dei trigliceridi ( rispettivamente, del 22,1%, del 11,4% e del 38,9%), non si evidenziavano effetti significativi sul colesterolo HDL. Nessun effetto collaterale avverso o anomalie della funzione epatica e renale sono stati rilevati. 

Dr. Angelo Carli

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